Americana Exotica danza per Old Souls nella preziosa Villa del Bono

Americana Exotica sarà presente con una nuova entusiasmante performance di danza alla VI edizione dell’ annuale Gala in costume di “Old Souls”, quest’anno a tema “The Romanov Dynasty, One Century after the Fall”, che si terrà il 14 Aprile presso la meravigliosa Villa del Bono (LC).

Old Souls è la prima vera realtà di rievocazione civile femminile d’Italia e il periodo storico ricostruito dal loro selezionato gruppo di rievocatrici è il Risorgimento Italiano.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone in piedi, matrimonio e sMS

Per creare la sua coreografia, Beatrice ha accolto l’idea di Claudia D’Avico, una delle insegnanti e componenti del gruppo, la quale dopo una ricerca ha pensato di ispirarsi alle uova di Favergé, dando impulso al lavoro coreografico di gruppo che ha visto il contributo di Lisa Fustinoni e Sara Antonazzo, le altre due insegnanti e componenti del team ufficiale di Americana Exotica.

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Tra il 1883 e il 1917, Peter Carl Fabergé, il gioielliere ufficiale della Corte Imperiale Russa, produsse un totale di sessantanove uova di Pasqua ingioiellate per lo Zar, l’aristocrazia e l’élite industriale e finanziaria. Oggi le uova di Fabergé sono famose nel mondo come simbolo di lusso sfrenato, ma delle sessantanove originali ne rimangono solo sessantuno. Dove sono finite le altre otto uova? Si tratta di un mistero che ha fatto discutere il mondo dell’arte per anni…

La storia di Fabergé inizia poco prima della Pasqua del 1883, quando lo Zar Alexander III, padre dell’ultimo Zar Nicholas II, commissionò un uovo di Pasqua ingioiellato come dono per la sua giovane moglie Maria Flodorovna (nata Dagmar di Danimarca). La povera Maria era stata allontanata dalla sua famiglia per sposare un completo estraneo col quale avrebbe dovuto regnare su una terra straniera e, come molte altre principesse in quella situazione, soffriva molto la nostalgia di casa al punto da cadere in depressione.

Per tirare su di morale Maria, suo marito commissionò il primissimo uovo Fabergé. L’uovo era splendido: il suo guscio in platino si apriva a rivelare un tuorlo d’oro, che a sua volta mostrava la miniatura di una gallina d’oro che portava con orgoglio la corona imperiale russa. Ciò che rendeva il regalo ancora più bello era il fatto che fosse ispirato ad una collezione esistente della Casa Reale danese, offrendo così un dolce ricordo di casa alla giovane Zarina. Il regalo sortì il suo effetto e Maria era così contenta per l’uovo che lo Zar decise di farlo diventare una tradizione. Anche dopo la sua morte, il figlio Nicholas II continuò a commissionare i doni, ognuno contenente una sorpresa unica e spettacolare.Nel corso degli anni, Fabergé curò la realizzazione di un totale di cinquantadue uova imperiali che furono date in dono a Maria e a sua nuora. Di queste, se ne contano ancora quarantaquattro. Il numero quarantatré, “Constellation Tsarevich” e quarantaquattro, “Birch Karelia”, non furono mai interamente completate a causa dello scoppio della Rivoluzione Russa e della esecuzione della famiglia Romanov. Tuttavia, ne mancano altre otto, ammesso che esistano ancora.Cinque delle uova mancanti sappiamo che esistono grazie alle fotografie scattate con la famiglia dello Zar. Per le altre tre, invece, tutto ciò a cui possiamo affidarci sono i nomi che appaiono sui contratti della Maison Fabergé. Nessuno ha una qualche idea del loro aspetto o un indizio di dove possano essere. Tutto ciò che rimane è un mistero che ossessiona gli storici dell’arte da decenni. Benché non ci fossero altre uova commissionate dalla famiglia Romanov, la Maison Fabergé ha continuato a produrre uova di lusso.

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Corso di Tribal Fusion Bellydance 2018

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Marzo 2018_GIOVEDÍ 22 -29 ; h 19.30/20.30
Aprile 2018_GIOVEDÍ 5 -12 -19 -26; h 19.30/20.30
Maggio 2018_GIOVEDÍ 3 -10 -17 -24; h 19.30/20.30

Presso Spazio Polaresco di Longuelo (Bg) – Via del Polaresco, 15

Tribal Fusion Bellydance:

La Tribal Fusion Bellydance è un stile nuovo della danza del ventre che nasce all’inizio degli anni Novanta in California come frutto di una commistione di danze, generi musicali e culture che si incontravano e si mescolavano nel florido humus della San Francisco underground di quegli anni. Il tradizionale vocabolario della danza orientale si è fuso nel tempo con quello di altre danze come la modern dance, la danza contemporanea, il popping (hip – hop), le danze indiane, il flamenco e altre discipline quali ad esempio lo yoga ed il teatro. La danza assume quindi una stilizzazione molto personale in base al gusto della danzatrice, al suo background tecnico, e al brano musicale che questa sceglie di interpretare. Caratteristico di questa danza è l’estremo controllo muscolare della danzatrice che le permette di isolare perfettamente le diverse parti del corpo e di sovrapporle tra loro anche in poliritmia diventando espressione letterale della musica, il tutto attraverso un linguaggio universale frutto della fusione dei vocabolari di diverse danze, tradizioni e culture. Una danza multiculturale espressione della fusione tra oriente ed occidente, tra modernità e tradizione.

Per conoscere il programma e iscriversi scrivi subito a info@americanaexotica.it

Iscrizione e costi:

Per iscriversi è necessario compilare il seguente google format entro e non oltre il 30 gennaio 2018:

https://goo.gl/forms/ffMrLgIP689WjVQj2

*Il corso è a numero chiuso fino a esaurimento posti (max. 20 persone); non si garantisce la partecipazione a coloro che non abbiano preventivamente confermato la propria presenza attraverso la compilazione del modulo google.
Il costo per l’intero percorso è di euro 100, da saldare il giorno 22/03/2018 prima dell’inizio della prima lezione. La quota comprende:
– 10 lezioni da 1 h ciascuna con Beatrice Secchi;
– Tessera associativa UISP di Asd Americana Exotica – Danza & Cultura;
– Dispensa con il programma affrontato durante le lezioni;
– Attestato di partecipazione finale;
Si ricorda che :
– è obbligatorio presentare il certificato medico di buona salute entro la terza lezione del percorso;
– è consigliabile arrivare presso la struttura almeno 10 minuti prima dell’inizio della lezione;
– è necessario portare con sé un tappetino da yoga per l’intera durata del percorso;
– è consigliabile vestirsi con un abbigliamento idoneo come : leggins, un top, una maglietta a manica corta, una felpa, calzini antiscivolo.
– è consigliabile portare con sé acqua, salviettine umidificate, un piccolo asciugamano, un quadernetto, una penna.

Contatti:

info@americanaexotica.it

+39 345 7163013

Breve storia di un progetto coreografico

Vi siete mai chiesti quale sia la differenza tra una performance art e una coreografia ? Vi siete mai domandati quale sia il senso della fusione nella danza e dove possa portare il ballerino? Vi siete mai chiesti come nasca un progetto coreografico e a quali strade possa portare ? Proverò a rispondere a questi interrogativi e a raccontarvi la storia del mio ultimo lavoro: la coreografia di Jah No Partial.

La danza di ultima generazione si ridisegna tra coreografia e performance art 

La Performance Art designa una serie di operazioni artistiche coinvolgenti, come elementi relativi alla danza, al cinema, al teatro, al video, alla poesia, effettuati davanti ad un pubblico. In questo caso, l’aspettativa primaria del pubblico è quella di emozionarsi. Si tratta di una forma d’arte di non facile definizione, si può forse definire arte che si esplicita mediante l’azione; in tale condizione il corpo produce effetti differenti rispetto a quelli della coreografia intesa in senso classico come una successione di movimenti tecnici costruiti appositamente sulla ossatura della musica.

Ora, se la performance per essere arte può fare a meno della parte tecnica, perché dovrebbe essere migliore di una coreografia? E viceversa, perché una coreografia studiata in ogni minimo dettaglio dovrebbe essere migliore di una performance ? Come possono incontrarsi Performance Art e coreografia ? Perché il loro incontro in un unico momento innalzerebbe il livello della danza ?

Interrogativi, quelli sopra, a cui ognuno risponderebbe forse diversamente: ciò che conta è spesso l’emozione prodotta dal movimento. Tuttavia, nella danza di ultima generazione e in tutti gli stili, prevale la volontà di inserire nelle esibizioni elementi tratti dal mondo dell’arte, del teatro, multimediale, di fusione, di commistione […]. Il fine è quello di produrre qualcosa di originale, di diverso. In una società bombardata dalle immagini ciò che conta è produrre qualcosa che non si dimentichi, perché strano, perché inusuale, perché nuovo, ma soprattutto bello. Sorgono spontanee altre domande: siamo ancora in grado, all’interno di questo calderone di possibilità, di apprezzare e distinguere una bella esibizione ? In base a cosa ? Attraverso quel senso di armonia e perfezione formale ?

Ciò che sottolineo è che le caratteristiche conferite alla danza di ultima generazione dalla performance art non devono essere subite dalla tecnica della coreografia e soprattutto non devono offuscarla, devono essere cioè due parti identificabili separatamente e ben distinte fra loro.

La fusione come frutto dell’amicizia fra ballerino e danza

Per fondere stili differenti, modi di muoversi lontani fra loro e interpreti di mondi diversi, per imparare ad amalgamare due o più maniere di percepire il suono attraverso il corpo, è necessario conoscere profondamente la danza, farsela amica. La sperimentazione dovrebbe essere la conseguenza di una “solida amicizia”, di un’acquisizione che lascia poco spazio al caso. Quest’ultimo, semmai, dev’essere letto attraverso la cosiddetta performance.

Jah No Partial – Storia di un progetto coreografico

Nella fusione che ho adottato per coreografare “Jah No Partial” di Major Lazer, nella versione di Flux Pavilion remixata da dj Skream, la nota della performance art è suggerita dall’ambientazione, si tratta infatti della scultura La Sequenza di Fausto Melotti (Rovereto 1901 – Milano 1986), artista, scrittore e teorico: una delle figure di spicco della scena culturale dell’Italia del Novecento.

L’opera – una composizione di moduli identici costituita da tre livelli di profondità secondo un’alternanza di pieni e di vuoti che rende impossibile coglierla con un unico sguardo – rappresenta il culmine della ricerca dell’artista, durata oltre quarant’anni, di una scultura anti-celebrativa e anti-monumentale. Ne La Sequenza è possibile ritrovare i temi cari a Melotti: lo spazio teatrale percorribile in profondità, dato dalle diverse “quinte” che si aprono l’una dopo l’altra; il concetto di modulazione – elemento razionale che nasce dal ritmo e dallo studio delle proporzioni – contrapposto a quello di modellazione – elemento soggettivo e irrazionale proprio della scultura tradizionale; quello di tema e variazioni – elemento musicale per eccellenza – che nasce dall’ alternanza di volumi positivi e negativi; infine l’elemento architettonico data dalle dimensioni della scultura e dal ritmo delle lastre di ferro che appaiono quasi come colonne di una costruzione classica o razionalista.

La Sequenza

Sono proprio le tematiche dello spazio teatrale percorribile in profondità attraverso le sue quinte che si dilatano fino a perdersi nelle graminacee, insieme a quello della variazione, dell’alternanza, ad aver nutrito il mio progetto coreografico di nuova ispirazione e ad aver permesso di considerare questa scultura il contenitore perfetto per filmare la coreografia. Il video è stato girato da Sarah Ling (DahLing Films), artista eclettica e talentuosa: è stata lei ad immaginare di poter sviluppare la coreografia nella scultura, di fornire alla sua camera la preziosa possibilità di muoversi con disinvoltura attorno a me e di esplorare la scultura in maniera nuova, di studiarla, di abitarla. Ed è poesia abitare La Sequenza con la danza.

Ecco che da questo imput sono nati collegamenti spontanei al mio lavoro, legami indissolubili che dall’arte di Melotti si allacciavano con naturalezza alla mia coreografia, alla fusione, ad uno sguardo nuovo sulle possibilità del movimento di farsi danza.

La sequenza

Coreografare Jah No Partial non è stato né facile né immediato, non è stato frutto dell’improvvisazione. E’ stato un lavoro di un mese e mezzo, in cui sequenze tecniche di Tribal Fusion e moves di Dancehall si sono incontrate sul ritmo elettronico della musica dei Major Lazer e, spesso, sono state modificate, ripensate, riadattate.

Certo è che tutto ha un senso, un significato, un rimando: ci sono le variazioni dello shimmy di 3/4 con il ghawazee shimmy, ci sono le body wave, arms wave, i layering, pelvic lock e drops; poi ci sono le moves di Bogle, le stylish moves di Latonya, qualche step di Orville, dei Black Eagles e dei ballerini giamaicani di ultima generazione.

Il frutto della fusione e dell’incontro tra coreografia e performance art rappresentano un primo passo verso un nuovo senso creativo che, attraverso la rottura di barriere immaginarie, fornisce nuove possibilità alla danza.

La vera scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel vederli con nuovi occhi.
Marcel Proust

Martedì 15 settembre 2015 – Bergamo: inaugurazione corsi di danza Americana Exotica – Dance & Culture

L’associazione è pioniera sul territorio bergamasco nell’ insegnamento delle danze Dancehall e Tribal Fusion Belly Dance.

Americana Exotica – Dance & Culture, associazione sportiva dilettantistica affiliata UISP Bergamo e nata a Bergamo nel 2012,  inaugurerà i suoi corsi di danza Dancehall e Tribal Fusion Belly Dance per ragazzi e adulti il giorno martedì 15.09.15 alle h 19.00 in Via Borgo Palazzo 193, (24125) – BG.

L’associazione, che dal 2009 si occupa di promuovere attività culturali e workshops di livello internazionale sul territorio lombardo, è divenuta un punto di riferimento locale per i suoi corsi unici di danza Dancehall (danza Giamaicana) e Tribal Fusion Belly Dance.

A chi non riesce a farsi un’idea di cosa possa essere la danza Dancehall e non voglia essere annoiato da lunghe spiegazioni, rispondiamo spesso: Conoscete la musica reagge? Quella che è diventata famosa in tutto il mondo grazie a Bob Marley? Ecco, la Dancehall è una musica nata dopo il reggae; e quella musica, nata in Giamaica negli anni Ottanta, si balla in un modo bellissimo, che coinvolge tutti, e fa della danza stessa un’espressione artistica meravigliosa. Adatta adun pubblico sia maschile che femminile, la Dancehall è un ottimo modo per mantenersi in forma divertendosi, lavorando allo stesso tempo sulla propria autostima, sul rapporto con gli altri e, perché no, approfondendo le proprie conoscenze sulle espressioni artistiche extraeuropee.

La Tribal Fusion Belly Dance, invece, è una danza ancora poco conosciuta, forse meno della Dancehall, ma portavoce di un fascino irresistibile che si esprime nei costumi di scena e nella sua elegante gestualità. Questa danza è un vero toccasana per il corpo della donna, coniugando i benefici dello Yoga, la potenza e la forza delle danze urbane con la danza del ventre.

Il giorno dell’inaugurazione l’ingresso alle lezioni è gratuito: i corsisti saranno trasportati attraverso la musica e la danza in un mondo lontano ed entusiasmante, colmo di fascino, di energia e curiosità. Per ulteriori informazioni visitare il nostro sito www.americanaexotica.it, la nostra pagina FB https://www.facebook.com/pages/Americana-Exotica/205430382882409?fref=ts, oppure contattare info@americanaexotica.it.

 

Inaugurazione corsi di danza a.s. 2015/2016 Americana Exotica – Dance & Culture

presso Accademia di Danza Step by Step – Via Borgo Palazzo 193, Bergamo

h 19.00/20.00 – Dancehall

h 20.00/21.00 – Dancehall

h 21.00/22.00 – Tribal Fusion Belly Dance

La danza racconta il suono attraverso il corpo

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Alice Sahaya Sodi, istruttrice toscana di danza Tribal Fusion, è la protagonista di un ciclo di seminari presso la Scuola di Ballo Charlie Club di Cusano Milanino (MI).

L’artista vive e Castel del Piano, in Provincia di Grosseto, ed è attualmente attiva nell’insegnamento della danza Tribal Fusion presso Castel del Piano (GR), Salaiola (GR) e Abbadia San Salvatore (SI).

Il primo seminario, svoltosi domenica 21 Ottobre 2012, è stato dedicato allo studio della tecnica Tribal Fusion base e ad un lavoro energetico col suono attraverso le vocalizzazioni e il canto armonico.

alice sahaya

L’approccio motorio di Alice durante il riscaldamento è profondamente legato allo Yoga ed è spiegato nei minimi dettagli.

Viene sottolineato l’ultilizzo delle contrazioni muscolari nella danza Tribal Fusion, a differenza della danza del ventre classica che usa sì le contrazioni muscolari ma in maniera minore, essendo più legata ad un lavoro articolare. “Più che il lavoro di contrazione muscolare, è interessante concentrarsi su quello di decontrazione, che ci aiuta ad ottenere una dinamica migliore nel movimento”, spiega Alice;

Inoltre viene data importanza alla postura corretta, elemento cardine per costruire solide basi tecniche nell’iniziare questa disciplina.

Alice cerca di armonizzare la parte più pratica e tecnica di questa danza con una parte più spirituale, legata all’energia, che rende il suo lavoro fortemente personalizzato e affascinante. La sua insegnante, iraniana, le ha mostrato un’antica preghiera che a sua volta condivide con noi, con le danzatrici e le insegnanti, con lo spazio che le ospita per danzare, ringraziando allo stesso tempo la terra, da dove tutto parte e dove tutto ritorna.

“La danza racconta il suono attraverso il corpo. Per conoscerlo meglio a livello vibrazionale, è importante avvicinarvisi in modo esperenziale.”

alice sahaya

Pitagora diceva che il movimento è caratteristico di qualsiasi oggetto o essere: anche ciò che sembra inerte come pietra possiede una certa frequenza di vibrazioni. Un oggetto sottoposto a vibrazione può sembrare del tutto immobile (per esempio i raggi di una ruota in movimento sembrano formare un oggetto compatto, fisso), perciò non dobbiamo lasciarci ingannare dalle apparenze. Anche la luce, il calore, il magnetismo, l’elettricità, e ancora i pensieri, le emozioni, gli stati d’animo, la volontà sono fenomeni vibratori: stati di vibrazioni emessi verso l’ esterno con un’incidenza maggiore o minore verso l’ambiente circostante.

Alice si concentra su un fenomeno vibratorio in particolare: il suono, specialmente nel canto armonico.

Fisicamente il suono è da intendersi come vibrazione di un mezzo elastico a questo trasmessa dalle vibrazioni di un corpo eccitato oppure, equivalentemente, come piccola perturbazione del mezzo elastico in cui si propaga, le cui molecole sono messe in vibrazione con frequenze dell’ordine di poche migliaia di Hz; nel linguaggio comune si intende invece la sensazione uditiva acustica prodotta da tali vibrazioni. L’orecchio umano è in grado di percepire vibrazioni che spaziano in un campo di frequenze da circa 16 Hz fino a circa 16 KHz: il concetto di suono è quindi collegato all’organo di senso in grado di percepirlo. Se consideriamo tutto lo spettro di frequenze possibili, compresi gli infrasuoni e gli ultrasuoni, possiamo affermare che ogni corpo in vibrazione emette un suono. Questo fenomeno avviene con una facilità ed una frequenza notevole nell’ambiente che ci circonda, basta infatti che due corpi si sfiorino o un corpo si muova in un fluido che subito ne scaturisce un suono. Ogni oggetto possiede una propria peculiare caratteristica sonora derivante dalla unicità della sua struttura fisica. In base a questo principio, l’intero nostro pianeta e tutto il cosmo, ove vi sia un mezzo che ne consenta la propagazione, è suono.

Il canto armonico, detto anche canto difonico, in inglese overtone singing, è una tecnica di canto nella quale il cantante sfrutta le risonanze che si creano nel tratto vocale (che si trova tra le corde vocali e la bocca) per far risaltare gli armonici presenti nella voce: in questo modo una singola voce può produrre simultaneamente due o più suoni distinti. Questo utilizzo della voce, sebbene con differenti tecniche e stili, è presente in molte culture. Benchè tipico di tradizioni come quella tibetana e mongola-tuvana,  esso è infatti riscontrabile anche in Sud Africa, nella tribù Xosa, in Rajastan, e nelle popolazioni Inuit.

Alice sembra vivere il canto armonico come una filosofia dell’essere in armonia con il creato. Quando durante lo stage abbiamo praticato il canto, abbiamo cercato di trovare la risonanza della voce nel nostro corpo, per comprendere da dove arrivasse, dove agisse e si propagasse. Ma ricollegandosi all’affermazione di Pitagora, è determinante anche la modalità con cui questa risonanza si colloca nello spazio che la accoglie. A seconda dei materiali che ci circondano riscontreremo un’energia diversa, e di conseguenza delle vibrazioni diverse: dobbiamo cercare di captare la vibrazione di base del nostro corpo (che è il nostro microcosmo), prenderne coscienza ed armonizzarla col macrocosmo e far nascere il nostro canto da questa.

Dopo esserci sedute in cerchio attorno ad una serie di oggetti simbolici, come una piuma (simbolo della leggerezza), cioccolato (alimento che agisce a livello energetico sul cuore), terapeutici semi di cacao, nasi colorati fatti all’uncinetto (prodotti della “pagliacceria cosmica”) e carte coperte (portatrici di un messaggio individuale), Alice ci ha condotto in una dimensione allo stesso tempo corale e individuale grazie appunto al canto armonico. Vocalizzando A,E,I,O,U a più livelli, abbiamo svolto un’ascolto profondo che ci ha portato ad avere maggiore consapevolezza del nostro corpo in relazione al suono e del nostro stato emotivo in relazione allo stesso.

Nel momento in cui si pratica il canto armonico si può avere un’esperienza di identificazione totale con il suono: in quel momento sei il suono che stai producendo e che pervade tutto il corpo e tutta la mente; l’attività dei pensieri diventa meno intensa e questo porta naturalmente ad eseguire una forma di meditazione.

Alla fine di questo seminario con Alice Sahaya il messaggio è chiaro: la danza racconta il suono attraverso il corpo, ed è fondamentale imparare ad ascoltarlo al fine di captare segnali funzionali al nostro benessere.

donna radici

Workshop con April Rose a Roma

Roma – 14,15 Luglio – April Rose, invitata per un workshop intensivo di due giorni da Francesca Trezza, accoglie il gruppo di giovani danzatrici che la seguirà durante la lezione del pomeriggio. La sua personalità non si nasconde dietro ai tratti delicati del volto acqua e sapone e al sorriso angelico che offre come primo biglietto da visita alle sue allieve: i suoi lunghi capelli per la maggior parte rasta la accompagnano in ogni suo movimento, ondeggiando quasi come fossero fronde scosse dal vento e, il suo sguardo, trasmette quell’energia che la rende unica nel suo genere.

La sua lezione inizia con una breve storia delle origini dell’ American Tribal Style e dello stile a cui essa è approdata: tutto deriva da Jamila Salimpour che, negli anni ’50, catalogò i movimenti della danza mediorientale sviluppando un repertorio stilistico a contatto con ballerine egiziane, algerine, tunisine che allora danzavano negli Sati Uniti e iniziò a insegnare quello che sapeva esibendosi per tutta la California e la West Coast; successivamente Jamila fondò la compagnia di danzatrici Bal Anat, che includeva anche musicisti presentando una commistione di danze regionali del Medio Oriente e del Nord Africa. Negli anni ’70, una studente di Jamila, Masha Archer, iniziò a insegnare e a dirigere la sua compagnia San Francisco Classic Dance Company; nel suo lavoro fuse insieme diversi elementi come il classic Egyptian Cabaret e gli stili folcloristici ripresi dalla sua insegnante, sostenendo l’approccio americano alla danza mediorientale.

Una studente di Masha dal 1974, Carolena Nerriccio, codificò il primo stile di danza di cui registrò il marchio: American Tribal Style Belly Dance®. Questo stile è caratterizzato dall’esecuzione di gruppo, in particolare dall’improvvisazione; nel 1987, Carolina fondò inoltre la compagnia Fat Chance Bellydance. Le danzatrici che si ispirarono al suo lavoro attraverso l’ ATS® svilupparono diverse ramificazioni stilistiche, alcune delle quali ritenute conformi allo stile di partenza, altre lontane dalla forma originale. Proprio queste ultime sono racchiuse nell’ ITS, l’ Improvisational Tribal Style, nel quale la comunicazione non verbale si instaura tra gruppi che utilizzano uno specifico vocabolario di movimenti.

Amy Sigil delle Unmata, una delle insegnanti di April Rose, utilizza lo stile ITS per creare la fusione Hot Pot ITS (HPITS), una vera e propria libreria di movimenti che riprende alcuni elementi dell’American Tribal Style. April è stata abilitata ad insegnare questa disciplina da Amy Sigil presso lHot Pot Studiodi Sacramento e ha insegnato a sua volta a Los Angeles.

Durante la prima giornata di workshop, dopo il riscaldamento a terra, April ha illustrato i movimenti base dell’ ITS ripresi dall’Hot Pot di Amy Sigil, spiegando poi il loro significato come “richiami” all’interno di gruppi d’improvvisazione e facendoci sperimentare la rotazione all’interno del gruppo in modo che la figura guida, quella del leader, cambiasse ogni volta; il secondo giorno invece, oltre ad una interessante incursione di Indian Fusion, la danzatrice si è concentrata sull’utilizzo del corpo nello spazio attraverso elementi tecnici ripresi dalla danza del ventre ed utlizzati nello stile Tribal; gli elementi sono stati studiati all’interno di una bellissima coreografia che April ha spiegato durante la lezione in maniera chiara e magistrale. La lezione è terminata con esercizi di yoga a terra che hanno svolto in maniera profonda l’azione dello stretching.

Durante il nostro incontro ho dunque scoperto che April Rose non è solamente una bravissima danzatrice, ma è anche un insegnante estremamente raffinata e precisa, dotata di una forte capacità comunicativa e di una sponatenità esemplari.

Colgo l’occasione per ringraziare Francesca, per aver organizzato questa esperienza indimenticabile.

Tribal Fusion: postura e braccia

Osservando l’eleganza e la precisione di Rachel Brice possiamo giungere ad alcune conclusioni importanti per quanto riguarda la postura da adottare nella danza Tribal Fusion:

1) Il busto aperto, determinato dalla contrazione dei muscoli dorsali e dalla cassa toracica ben ampliata;

2) Il collo esteso in modo da ottenere una linea continua tra le vertebre cervicali e quelle dorsali; le spalle effettuano una leggera pressione verso il basso ;

3) Le vertebre lombari ben allineate e in linea con il dorso;

4) Braccia aperte (ma non a 180 gradi) e gomiti esterni, come se entrambe gli avambracci fossero “appoggiati su un tavolo”;

Nella fase in movimento, i polsi sono morbidi e ruotano dall’interno verso l’esterno accompagnando le dita che, raccogliendosi, quando il polso ruota all’interno, si ristendono nel momento in cui questo gira verso l’esterno. E’ ravvisabile che le dita centrali della mano arrivino a toccarsi con il pollice durante la rotazione del polso;

Il busto esegue spesso un movimento oscillatorio abbinato ad una torsione, lasciando il bacino centrale e fermo nonostante l’alternanza dei fianchi. In questo caso le braccia assecondano la direzione in cui si muove il busto attraverso la sequenza spalla – gomito – polso – dita, in cui le spalle eseguono una rotazione in avanti senza  “chiudersi”, rimanendo arretrate rispetto alle clavicole. Quando il busto si muove verso destra insieme al percorso di scomposizione fluida del braccio che si conclude con le dita, (wave), il braccio opposto, (o meglio la mano), si avvicina al busto, e viceversa quando ci si muove nella direzione opposta.

La difficoltà sta nell’associare la scomposizione degli elementi delle diverse parti. Questa scomposizione può essere trattata a volte secondo una maniera “fluida”, a volte secondo “blocchi”. Il fluire del movimento viene arrestato così dalla contrazione muscolare, che dev’essere chiaramente circoscritta solo alla parte che vogliamo “bloccare”. Quest’ultimo meccanismo ha una radice profondamente urbana: proviene dallo stile popping dell’ Hip Hop, ed è necessario per ottenere l’effetto descritto precedentemente.

Tribal Fusion, Dancehall, Hip Hop: la tradizione nella modernità

Leila

Anteprima dell’articolo che uscirà sul numero 9 di Art App dedicato alle tribù

www.artapp.it.

Nulla si crea, nulla si distrugge: alla scoperta del passato per conoscere il presente

Leila

Fusione, assimilazione, amalgama, mescolanza: sinonimi per designare quella particolare caratteristica che permette ad alcune danze tribali di fare ingresso nella società urbana e di mantenere sì la propria radice culturale, ma all’interno di un contesto contemporaneo.
Minacciate dalla privazione delle proprie tradizioni, conseguenza del fenomeno della globalizzazione, alcune società hanno trattato la danza esattamente come le altre componenti e attività della vita quotidiana soggette al cambiamento, ricercando nel “nuovo” un supporto per il proprio patrimonio coreutico, superando così il clichèt dell’isolamento culturale.
Sono così sopravvissute le antiche danze berbere e tribali dell’Africa Subsahariana nella danza Tribal Fusion, le antiche danze creole nella Dancehall e africane nell’ Hip Hop.
Sicuramente questo ingresso trionfale delle danze tribali nel mondo occidentale, nel repertorio metropolitano e globale, è stato determinato sia dal fenomeno dell’orientalismo, sia dal fascino esercitato dall’”esotico”, così come dall’ingresso della strumentazione multimediale nel panorama musicale.
Altro fattore necessario per la sopravvivenza delle danze tribali è stata l’integrazione culturale, il melting pot, che oggi caratterizza la maggior parte dei centri urbani nel mondo.
Ma cosa intendiamo per danze tribali? Sicuramente l’immaginario collettivo ci invita a considerarne l’aspetto prettamente antico e romantico, quale quello delle antiche tribù dell’Africa. E’ proprio a questa dimensione “selvaggia” e senza tempo a cui necessariamente dobbiamo associare il concetto di fusione. In etnologia il termine “Tribù” fa riferimento ai concetti di gruppo e di appartenenza, in cui le danze tribali sono praticate nei momenti più importanti della vita dell’uomo, come la nascita, l’ingresso nella vita adulta o nella comunità, il matrimonio, la morte, oppure la vita religiosa e spirituale.

Dalle antiche danze tribali alla Tribal Fusion Americana

Carolena Nericcio

La danza Tribal Fusion nasce negli Stati Uniti d’America negli anni ‘90 dall’American Tribal Style Belly Dance, (ATS), per quanto riguarda le movenze e i costumi, ma differisce da essa poiché fonde anche lo stile popping dell’ hip hop, il Flamenco, la danza africana, il kathak (una delle sette danze classiche indiane), la breakdance e la danza del ventre tradizionale. Inoltre viene integrata dallo yoga, disciplina indiana che vanta una tradizione millenaria.
La danzatrice che meglio rappresenta la Tribal Fusion è senza dubbio l’americana Rachel Brice, conosciuta in tutto il mondo per il suo straordinario talento e per la sua incredibile capacità di controllo muscolare, frutto di intensi studi di yoga e danze mediorientali; chi la vede danzare può paragonare il suo corpo ad un serpente, tanto la fluidità e la contrazione muscolare sono precisi e profondi.
Prodotto degli anni più recenti, la danza Tribal Fusion è oggi diffusa in tutto il mondo.
L’American Tribal Style, da cui deriva appunto la Tribal Fusion, è una particolare fusione ideata da Carolena Nericcio nel 1987 che, amalgamando passi e postura della danza orientale e stili popolari del Nord Africa con elementi mutuati dal flamenco e dalla danza indiana, porta le danzatrici ad un forte senso d’appartenenza al “gruppo”, eliminando così la presenza della solista e riportando la danza nell’alveo del concetto tribale, in quella comunione d’intenti che carica d’energia i movimenti.
La parola d’ordine è dunque fusione, al fine di far rivivere gli stili tribali all’interno di un contesto urbano e metropolitano; non è dunque un caso se entrambi questi stili, American Tribal Style e Tribal Fusion, siano nati negli States.
La fondatrice dello stile ATS, la Nericcio, fa un interessante parallelismo tra la sua personale esperienza e quella che ha portato alla nascita della danza orientale tra Nord Africa e Medio Oriente:
“Mi è successa più o meno la stessa cosa che accadde ai gitani quando lasciarono l’India diretti in Nord Africa: portavo con me il senso di quel che ero abituata a fare, ma poi sono stata influenzata da altre musiche e da altra gente. Così, ho seguito la mia intuizione e ho creato un’arte a partire dai fondamenti che la mia insegnante mi aveva dato, per poi abbellirli con le nuove idee che andavo sviluppando.”

Dalle danze tradizionali alla Dancehall: il sincretismo giamaicano

Danza

La danza Dancehall giamaicana contemporanea si sviluppa dall’inizio degli anni ’80 grazie al contributo di alcuni ballerini giamaicani inventori delle cosiddette moves, ovvero passi di danza battezzati con un nome giamaicano che corrispondono al titolo di una canzone o che vengono annunciati nel testo dal repper.
Questa danza ha radici profonde, in particolare trae le sue origini dai ceppi africano, europeo e creolo. Già possedimento spagnolo dal 1494 al 1655, noto con il nome di Santiago, la Giamaica è poi diventata dominio britannico; ottenne piena indipendenza dal Regno Unito solo il 6 agosto del 1962. Il suo sincretismo culturale è dunque il risultato di una storia di colonizzazione e di fusioni.
Come spazio culturale e luogo di aggregazione in cui si balla, le radici della dancehall sono da ricercare nell’epoca della schiavitù. Durante il periodo colonico infatti, gli schiavi africani svilupparono balli di coppia entrati poi a far parte del patrimonio culturale tradizionale giamaicano sulla base del ballo da sala europeo quadrille. L’emulazione di questa danza eseguita dai coloni determinò un impulso negli africani, che arricchirono dei propri ritmi l’accompagnamento musicale e dei propri passi di danza più morbidi e meno formali il repertorio coreutico europeo, arrivando a concepire la prima musica “moderna” popolare giamaicana: il mento.
Hedley Jones, ex presidente della Jamaica Federation of Musicians, (Federazione giamaicana dei musicisti), ha affermato che “la dancehall è sempre stata con noi, perchè abbiamo sempre avuto i nostri locali, le nostre piazze del mercato, i nostri baracconi…dove eseguivamo le nostre danze. E si chiamavano dancehall, sale da ballo.”
Quindi la dancehall non rappresenta l’epilogo delle radici musicali giamaicane, ma ne è la radice: negli anni ‘70, la sala da ballo con la band dal vivo ha ceduto il posto ai sound system, (discoteche mobili con potenti impianti di amplificazione). A loro volta i sound system sono stati il motore di molti dei successivi sviluppi della musica popolare giamaicana, anche della musica rap dei DJ.
In Giamaica gli eventi all’insegna della dancehall si svolgono prevalentemente in spazi aperti, in occasione dei quali si balla fino ad esaurire le forze, producendo performance intense e vibranti, le “dancehall session”.

…Dal Griot al B-Boy…

Griot

Se volessimo muoverci a ritroso nel tempo alla ricerca delle origini della danza Hip Hop dovremmo senza dubbio analizzare la figura del Griot.
Il ruolo del Griot all’interno del villaggio africano rimanda a quello dei cantastorie nelle corti medievali occidentali; egli è lo specialista della parola, grazie al quale questa diventa arte. La sua funzione è quella di custodire la storia e le tradizioni del suo popolo attraverso il racconto, all’interno del quale la parola viene supportata dalla musica e dalla danza. Solitamente si diventa Griot per discendenza diretta e le tradizioni sono trasmesse oralmente di generazione in generazione, attraverso precise tecniche mnemoniche tra cui i canti e i ritmi del tamburo.
Come la musica, in Africa anche la danza è collegata a particolari situazioni rituali o cerimoniali. Ad esempio sul ritmo Dununbà gli uomini ballano una danza possente, forte, vestiti di rosso in occasione del cerimoniale.
Ogni passo corrisponde ad un determinato ritmo e, ad ogni “chiamata” del tamburo, il passo di danza muta, sviluppando parallelamente il significato di cui si fa veicolo.
Nonostante il Griot mantenga ancora oggi un ruolo predominante all’interno di molte realtà rurali proprie dell’Africa e la sua cultura rappresenti nel mondo occidentale una fonte d’interesse a livello antropologico, questa figura ha un alter ego in chiave urbana e contemporanea: il B-Boy.


Ballerino di hip-hop e break-dance, il B-Boy ricorda le prove di iniziazione dei giovani chiamati a diventare adulti nei villaggi . Proprio il B-boyng, (dai più chiamato break-dance), è una delle quattro discipline in cui si articola l’hip hop, ovvero l’espressione più intraprendente e diffusa della comunità afroamericana negli ultimi trent’anni. Le altre tre sono: il Rap, il Turntablism (ovvero “manipolazione del giradischi”) e l’Aerosol art (“arte delle bombolette”).
La storia orale dell’hip hop indica Kool Dj Herc come inventore del termine B-boy per definire i ragazzi che piroettavano attorno alla sua postazione nel corso dei block party.
Sui break ottenuti dai dj passando da un giradischi all’altro per mandare in onda consecutivamente gli stacchi di batteria di uno stesso brano, si verifica alla fine degli anni ’60 un’evoluzione dei movimenti fino ad allora utilizzati per ballare il rhythm and blues, il jazz e il boogie. Ragazzi per lo più appartenenti alle gang di quartiere, i primi B-boy adattano al ballo movimenti di autodifesa appresi nelle palestre, nelle bande medesime o dai film di Bruce Lee. La capoeira brasiliana e il kung fu asiatico offrono così un consapevole contributo alle spettacolari evoluzioni dei ballerini di break dance, che all’inizio degli anni ’70 si sfidano in alcuni club di New York e Los Angeles. E’ il decennio decisivo per lo sviluppo del B-boyng, soggetto a continue innovazioni, di provenienza spesso contesa, fino al raggiungimento di una sorta di protocollo universalmente riconosciuto.

Beatrice Secchi

Gothic Bellydance: impulso STRAordinario

Silviah

Attraverso un percorso di due giorni (25/26 febbraio) con l’insegnante e ballerina Silvia Colombara, in arte Silviah, in occasione dell’evento Tribal & Bellydance Academy 2012 presso l’ associazione culturale Metiss’Art di Milano, ho incontrato per la prima volta lo stile Gothic Bellydance.

Subito mi è venuto spontaneo descrivere tale stile come “danza dell’impulso straordinario”, quella che a mio avviso usa la fluidità e le contrazioni del corpo per diventare allegoria della vita. Uso l’aggettivo “straordinario” perchè attraverso l’arte l’impulso del corpo si nobilita e perde quel meccanicismo che vede la realtà governata unicamente da leggi fisiche e materiali. Straordinario, anche perchè l’atteggiamento antidogmatico e anticonformista che anche si addice allo stile gotico diventa garante di un’ atmosfera trascendente dal sapore lunare, di un’energia positiva che ne riscatta il significato e, proprio quest’aurea diversa si fa portavoce di un fascino senza tempo nonstante la musica sia intrisa di contemporaneità, della diretta conseguenza dell’urbanesimo, della metropoli, della fabbrica e dell’industria.

Così la musica prodotta da gruppi dall’impronta dark come Centhron, And One, FCFG820 e altri ancora, sono interpretati alla luce della danza Tribal Fusion da Silviah. Così l’estremo, il carattere “cattivo” del gotico, trova equilibrio grazie alla tecnica coreutica e alla precisione dei movimenti. Così le estremità del corpo, (le dita, le mani e le braccia), eseguono lavori tecnici certosini al fine di ottenere effetti scenografici ameni. Così il cuore ritorna ad essere il centro propulsore del corpo, quell’elemento che durante la danza le mani tornano a evidenziare per ricordare la potenza del suo battito e il controllo della sua energia emozionale e fisiologica. Così irrompe il balance dei fianchi tipico della bellydance, accompagnato dallo spostamento a blocco delle diverse parti del corpo, in modo da ridare ordine visivo e interpretativo al pathos musicale.

Il primo seminario, quello di sabato 25 febbraio, era intitolato EBMElectro Bellydance Mood. Interessante notare la spontanea analogia con la stessa sigla (EBM) in riferimento all’ Electronic Body Music, che combina elementi di musica industrial e di punk elettronico e si presta particolarmente alla danza rientrando appunto nella famiglia della musica elettronica pur essendo più aggressiva e “oscura” rispetto ad altri generi dello stesso gruppo. L’aspetto musicale rappresenta dunque una nota distintiva nello stile gothic e va di conseguenza indagato e approfondito. Durante il secondo seminario del 26 febbraio dal titolo Be slow, be powerful, Il fascino potente della lentezza, Silviah si è concentrata nel trasmettere attraverso alcune tecniche la valorizzazione dei movimenti lenti, trattenuti, slow motion con picchi di intensità grandi e piccoli; tutto questo attraverso una studiata oscillazione degli arti superiori e alla coordinazione con il busto, attraverso attenti cambi di peso da una gamba all’altra e grazie all’ uso controllato dei dorsali che determinano l’apertura del torace.

In entrambe le giornate l’insegnante ha dedicato spazio alla coreografia, nel primo caso utilizzando una musica tipicamente dark industrial, nel secondo usando una musica da carillon, per mettere a frutto la tecnica appresa durante la lezione. Il corpo, avvolto e sconvolto da ritmi sincopati ascendenti o dal sapore piacevolmente insistente, diventava così figlio della musica scelta, avviava grazie alla coreografia quel processo di ricerca impostato sul collegamento, allacciamento, attacco, connessione, contatto, legame: sei termini per indicare il medesimo elemento fondamentale.

Ed ecco che, riallacciandomi al titolo dell’articolo, l’impulso corporeo ordinario della danza tribal fusion, nello stile gothic diventa impulso straordinario, circondato da quest’atmosfera che lo rende magico, quasi apotropaico e dotato di forte intensità.

Beatrice Secchi

 

 

Didjin’ is almost ritual

due didje e danza durante performance

E la danza si nutre del suono e cresce col “rito”

due didje e danza durante performance
Beatrice Secchi durante la performance

Il 22 gennaio 2012, presso la sede dell’ Associazione Estro in Via Zambonate a Bergamo, si è svolta una performance artistica collettiva aperta a tutti,  quasi un rito che attraverso l’arte ha conciliato la libertà d’espressione e la creatività.

Questo incontro, organizzato da Christian Muela, musicista di didjeridoo, ha visto coinvolti strumenti musicali quali appunto il didjeridoo, le percussioni e la voce, che attraverso una modalità espressiva fortemente tribale, hanno operato nell’alveo della pura improvvisazione. Proprio l’improvvisazione ha giocato un ruolo determinante nel ricalcare, attraverso il suono e la visione della danza, il disegno emotivo di ogni partecipante, ed ha spinto ad una continua ricerca creativa ognuno di noi.

L’intervento legato alla danza Tribal Fusion, svolto da me, ha contribuito a coinvolgere i partecipanti e gli stessi musicisti a tradurre i suoni in immagine, a dare a questo percorso labirintico del suono un filo d’Arianna a cui appigliarsi in ogni momento e quando lo si ritenesse opportuno. Non c’erano nè imposizioni visive nè discorsi di senso, solo la musica e la danza scandivano un tempo che per la durata della performance aveva perso ogni riferimento al presente, fluttuando verso una dolce dimensione atemporale dotata di un proprio spazio audiovisivo.

Questa esperienza mi ha permesso di sperimentare l’ improvvisazione nella danza in maniera nuova: solo ascoltando il proprio corpo in relazione alle emozioni suscitate dalla musica dal vivo e concentrandosi sull’evoluzione di un percorso sonoro costruito sull’immediatezza, anche il movimento può trasmettere la sensazione di un viaggio, di una ricerca, che porta spesso alla scoperta di codici coreutici originali e ad una conoscenza rinvigorita di sè stessi.

Beatrice Secchi

Di seguito il video