Vi siete mai chiesti quale sia la differenza tra una performance art e una coreografia ? Vi siete mai domandati quale sia il senso della fusione nella danza e dove possa portare il ballerino? Vi siete mai chiesti come nasca un progetto coreografico e a quali strade possa portare ? Proverò a rispondere a questi interrogativi e a raccontarvi la storia del mio ultimo lavoro: la coreografia di Jah No Partial.
La danza di ultima generazione si ridisegna tra coreografia e performance art
La Performance Art designa una serie di operazioni artistiche coinvolgenti, come elementi relativi alla danza, al cinema, al teatro, al video, alla poesia, effettuati davanti ad un pubblico. In questo caso, l’aspettativa primaria del pubblico è quella di emozionarsi. Si tratta di una forma d’arte di non facile definizione, si può forse definire arte che si esplicita mediante l’azione; in tale condizione il corpo produce effetti differenti rispetto a quelli della coreografia intesa in senso classico come una successione di movimenti tecnici costruiti appositamente sulla ossatura della musica.
Ora, se la performance per essere arte può fare a meno della parte tecnica, perché dovrebbe essere migliore di una coreografia? E viceversa, perché una coreografia studiata in ogni minimo dettaglio dovrebbe essere migliore di una performance ? Come possono incontrarsi Performance Art e coreografia ? Perché il loro incontro in un unico momento innalzerebbe il livello della danza ?
Interrogativi, quelli sopra, a cui ognuno risponderebbe forse diversamente: ciò che conta è spesso l’emozione prodotta dal movimento. Tuttavia, nella danza di ultima generazione e in tutti gli stili, prevale la volontà di inserire nelle esibizioni elementi tratti dal mondo dell’arte, del teatro, multimediale, di fusione, di commistione […]. Il fine è quello di produrre qualcosa di originale, di diverso. In una società bombardata dalle immagini ciò che conta è produrre qualcosa che non si dimentichi, perché strano, perché inusuale, perché nuovo, ma soprattutto bello. Sorgono spontanee altre domande: siamo ancora in grado, all’interno di questo calderone di possibilità, di apprezzare e distinguere una bella esibizione ? In base a cosa ? Attraverso quel senso di armonia e perfezione formale ?
Ciò che sottolineo è che le caratteristiche conferite alla danza di ultima generazione dalla performance art non devono essere subite dalla tecnica della coreografia e soprattutto non devono offuscarla, devono essere cioè due parti identificabili separatamente e ben distinte fra loro.
La fusione come frutto dell’amicizia fra ballerino e danza
Per fondere stili differenti, modi di muoversi lontani fra loro e interpreti di mondi diversi, per imparare ad amalgamare due o più maniere di percepire il suono attraverso il corpo, è necessario conoscere profondamente la danza, farsela amica. La sperimentazione dovrebbe essere la conseguenza di una “solida amicizia”, di un’acquisizione che lascia poco spazio al caso. Quest’ultimo, semmai, dev’essere letto attraverso la cosiddetta performance.
Jah No Partial – Storia di un progetto coreografico
Nella fusione che ho adottato per coreografare “Jah No Partial” di Major Lazer, nella versione di Flux Pavilion remixata da dj Skream, la nota della performance art è suggerita dall’ambientazione, si tratta infatti della scultura La Sequenza di Fausto Melotti (Rovereto 1901 – Milano 1986), artista, scrittore e teorico: una delle figure di spicco della scena culturale dell’Italia del Novecento.
L’opera – una composizione di moduli identici costituita da tre livelli di profondità secondo un’alternanza di pieni e di vuoti che rende impossibile coglierla con un unico sguardo – rappresenta il culmine della ricerca dell’artista, durata oltre quarant’anni, di una scultura anti-celebrativa e anti-monumentale. Ne La Sequenza è possibile ritrovare i temi cari a Melotti: lo spazio teatrale percorribile in profondità, dato dalle diverse “quinte” che si aprono l’una dopo l’altra; il concetto di modulazione – elemento razionale che nasce dal ritmo e dallo studio delle proporzioni – contrapposto a quello di modellazione – elemento soggettivo e irrazionale proprio della scultura tradizionale; quello di tema e variazioni – elemento musicale per eccellenza – che nasce dall’ alternanza di volumi positivi e negativi; infine l’elemento architettonico data dalle dimensioni della scultura e dal ritmo delle lastre di ferro che appaiono quasi come colonne di una costruzione classica o razionalista.
Sono proprio le tematiche dello spazio teatrale percorribile in profondità attraverso le sue quinte che si dilatano fino a perdersi nelle graminacee, insieme a quello della variazione, dell’alternanza, ad aver nutrito il mio progetto coreografico di nuova ispirazione e ad aver permesso di considerare questa scultura il contenitore perfetto per filmare la coreografia. Il video è stato girato da Sarah Ling (DahLing Films), artista eclettica e talentuosa: è stata lei ad immaginare di poter sviluppare la coreografia nella scultura, di fornire alla sua camera la preziosa possibilità di muoversi con disinvoltura attorno a me e di esplorare la scultura in maniera nuova, di studiarla, di abitarla. Ed è poesia abitare La Sequenza con la danza.
Ecco che da questo imput sono nati collegamenti spontanei al mio lavoro, legami indissolubili che dall’arte di Melotti si allacciavano con naturalezza alla mia coreografia, alla fusione, ad uno sguardo nuovo sulle possibilità del movimento di farsi danza.
Coreografare Jah No Partial non è stato né facile né immediato, non è stato frutto dell’improvvisazione. E’ stato un lavoro di un mese e mezzo, in cui sequenze tecniche di Tribal Fusion e moves di Dancehall si sono incontrate sul ritmo elettronico della musica dei Major Lazer e, spesso, sono state modificate, ripensate, riadattate.
Certo è che tutto ha un senso, un significato, un rimando: ci sono le variazioni dello shimmy di 3/4 con il ghawazee shimmy, ci sono le body wave, arms wave, i layering, pelvic lock e drops; poi ci sono le moves di Bogle, le stylish moves di Latonya, qualche step di Orville, dei Black Eagles e dei ballerini giamaicani di ultima generazione.
Il frutto della fusione e dell’incontro tra coreografia e performance art rappresentano un primo passo verso un nuovo senso creativo che, attraverso la rottura di barriere immaginarie, fornisce nuove possibilità alla danza.
La vera scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel vederli con nuovi occhi.
Marcel Proust